Punto di partenza dell’itinerario alla scoperta del borgo è Piazza Stefano Quadrio, centro ideale della memoria storica di Chiuro, su cui si affaccia il palazzo di Stefano “milite”. Oggi sede di casa vinicola, si presenta come il risultato di trasformazioni e continui adattamenti. Sulla facciata dell’edificio una feritoia a croce medievale, un portale architravato con stemma Quadrio, un portalino seicentesco con profilo mistilineo sormontato da un balconcino in ferro battuto. Su questo si apre una porta-finestra in pietra scolpita con un motivo a rosette cinquecentesche.

Sul lato ovest della piazza il portale d’ingresso al sagrato, realizzato in pietra verde di Tresivio da Giovanni Galini di Corteno nel 1522. L’architrave, che presenta al centro lo stemma di san Bernardino, suscita un affascinante dilemma sull’identità dei personaggi scolpiti di profilo nei due medaglioni: un doge veneto o un sultano turco? Sulla cuspide dell’arco ogivale lo stemma parlante dei Quadrio e quello della Comunità di Chiuro, sovrastati dalla figura della Madonna con il Bambino. Corre tutto intorno una tipica cordonatura rinascimentale. Nella lunetta, ai lati di una Pietà di pregevole fattura, i santi patroni Giacomo e Andrea. Giganteggia a sinistra in veste gialla e manto rosato, appoggiato ad un nodoso bastone, san Cristoforo; porta il Bambino sulle spalle strettamente attaccato ad un ciuffo dei suoi capelli. A destra il profilo elmato di Sansone volto verso la città di Gaza. Scalini corrosi conducono entro il sagrato e portano all’Oratorio dei Confratelli di Santa Maria. Vi si accede salendo alcuni gradini al centro del pronao a otto colonne, aggiunto alla fine del secolo scorso. All’interno, sulla volta affrescata nel 1778 da Francesco Della Torre, sono raffigurati gli Evangelisti, l’Immacolata e Santi. Ai piedi dell’altare, dominato da un grande crocifisso, tre statue in legno dorato e dipinto con il dolente volto delle tre Marie. Sulla facciata a capanna della chiesa parrocchiale un trittico a mosaico presenta le figure di Cristo, affiancato dai patroni del paese. All’interno, a una sola navata, nel trionfo del gesso si coglie la dimensione barocca. La volta a botte è ricca di affreschi delimitati da cordonature e cornici in stucco bianco e dorato e da una moltitudine di angeli. Nei primi anni del Settecento il pittore Giuseppe Prina realizzò i medaglioni con episodi della vita dei santi Andrea e Giacomo. Opera notevole è il ciborio, realizzato da Michele Cogol nel 1692 in legno intagliato e scolpito, dipinto e dorato, a forma di tempietto con piccole statue. Lavoro di pregevole intarsio è il coro, opera dell’intagliatore comasco Pietro Brasca. A sinistra della Chiesa si trovano il Portichetto Cimitero e la Cappella dei Disciplini, complesso impreziosito dagli affreschi di Cipriano Valorsa. Sopra l’arco d’ingresso l’Annunciazione e il tracciato di una cinta muraria merlata.

Sulla parete di fondo, maestosa appare santa Marta, che schiaccia il drago e stende il suo manto sopra i confratelli incappucciati di bianco; il cartiglio porta la data 4 ottobre 1563 e il nome del committente: il sacerdote Matteo Del Tamo, priore della Scuola dei Disciplini.Sulla parete sinistra una grande scena racconta la Resurrezione del figlio della vedova di Naim; nelle volte, entro spicchi delimitati da un fregio, sono raffigurati gli Evangelisti, la sepoltura di Cristo fra due angeli ceroforari e i ritratti del priore e del parroco di allora. Sulla cappella rialzata ammiriamo le figure di Maria Annunciata e dell’angelo nunzio, i santi Defendente, Rocco, Marta, Lucia.

Ritornando sulla piazza si percorre via Roma, diritta e selciata, dominata dall’alto dalla vetusta torre grigia di Castionetto; è fiancheggiata sulla destra da un notevole fronte quattrocentesco con finestre ad arco acuto, incorniciate da pietre lavorate e protette da robuste inferriate.
Un motivo a tortiglione accompagna un davanzale e si ripete attorno al portale dello stesso caseggiato prospiciente la via Torre. Circa a metà del percorso troviamo l’edificio che fu la Trattoria Stella, ritrovo di forestieri e mercanti in occasione della celebre fiera di sant’Andrea.
Giunti in Largo Curzio proseguiamo verso nord lungo via Medici.

Davanti all’ingresso carraio di casa già Rainoldi le due pietre con le scanalature ai lati per l’asse a riparo delle acque della Botigiana; ancora visibile sul portone la scritta fatta dipingere dal proprietario Pietro Rainoldi durante la campagna elettorale del 1913. Una caratteristica fontana a nicchia in materiale tufaceo ci aspetta all’incrocio con via Borgo Francone. La strada sale fino alle ultime abitazioni del paese per continuare verso il comune di Ponte in Valtellina.
Un affresco raffigurante la Pietà sovrasta il portone d’entrata dell’edificio in fondo: descrive la composizione drammatica della Madre che regge sulle ginocchia il corpo del figlio morto, e propone in primo piano i santi patroni Giacomo e Andrea. L’immagine era volta a suscitare l’emozione dei fedeli, invitandoli ad immedesimarsi nel dolore della Vergine. La scritta ormai illeggibile recitava: “Mira queste piage o pechatore, e pensa bene il tuo erore fato contro uno Dio, tuo Redentore”. All’imbocco di via Borgo Francone il palazzo Balgera, già Quadrio de Maria Pontaschelli.

L’ampia costruzione conserva la configurazione settecentesca: portale cappellato in pietra verde profilato di rosso porpora, portone in legno intagliato, soglia di lastroni levigati e vasto cortile centrale. Sul fronte principale corre un porticato con cinque arcate sostenute da colonne. Da notare l’antico orologio solare a ore italiane: agli angoli superiori due angeli sembrano dispiegare un ampio mantello giallo sul quadrante, attraversato trasversalmente da una linea rossa, sul quale sono dipinte le linee orarie. Il fronte a nord sulla corte è caratterizzato da un portalino a sesto acuto con l’arma del casato in chiave e da due finestre con balconcino a pavimento sagomato con cartelle accartocciate.
Una terrazza conduce al vasto giardino che, tra viali e gradinate, sale ad una interessante edicola. Nel corpo a nord del complesso una vetusta loggia su due ordini, con pilastri lignei e capitelli a dado; sul portale lo stemma della famiglia Gaifassi. Proseguendo si giunge a casa Gandola, già Quadrio Alessandri.

L’edificio ha finestre incorniciate e davanzali lavorati, mostra una ricca scenografia che disegna finestre lignee, balcone con anfore di fiori, cielo azzurro e uccelli in volo. La decorazione a colombaia continua sul lato nord dell’edificio, prospiciente un vasto giardino ombreggiato da alberi secolari.
Di fronte, incassato nel muro con un architrave in legno, un dipinto devozionale presenta la Vergine con il Bambino e santi; altri santi sono inseriti nei medaglioni della cornice. Le iniziali sopra il dipinto suggeriscono il nome del committente.

Al termine della via Borgo Francone parte in direzione Sud la via Opifici, anticamente fiancheggiata da mulini alimentati dalla roggia che scorre quasi parallela. Un tempo era zona artigianale, con i suoi mulini, la filanda, la segheria, il laboratorio per tritare la paglia, la cabina elettrica e la distilleria di grappa. Nello slargo del lavatoio una dimora apparentemente modesta, chiusa da un portone arcato, presenta una finestrella litica con inferriata e un’altra con frammenti di decorazione a nastro, tracce di un vasto affresco ormai perduto e, in alto, allineate, pietre posatoi per i colombi. Richiama l’attenzione il patetico messaggio scritto sull’architrave in pietra verde decorata con fiori all’estremità, con l’arma della famiglia e un cuore trafitto.
Si continua fino al Pontesel ed ecco un crocevia di strade. E’ visibile l’alto fronte di casa Gatti con la caratteristica torre colombaia; si notano le arcate a colonne al piano rialzato, un piano finestrato, una seconda loggia con pilastri in muratura e il sottotetto con finestre quadrate.

Parte dall’incrocio via Gera, che ricorda nel nome la contrada scomparsa. Sullo stabile dell’incrocio con via Stazione un grande affresco ottocentesco rappresenta la Resurrezione; la composizione è ricca e movimentata: Cristo, salendo in un cielo di nubi verso il Padre, lascia le guardie sbigottite. Dal Pontesel iniziano anche via Ghibellini e via Torre.
La prima fiancheggia il lato sud del palazzo Quadrio; al n. 7 un pregevole portale si apre su un portico interno voltato. L’antico corpo fortificato, ora casa Negri, presenta una facciata rifatta nel 1929 con decorazione a graffito e scritte in latino inneggianti all’attività della casa vinicola. Questa via prosegue in via Visconti fino alla piazza, continuando idealmente il legame storico con la famiglia Visconti alla quale il ghibellino Pietro Quadrio portava fedeltà. Via Torre, acciottolata e tortuosa, conserva la sua originaria impronta medievale.
Coperto da un tettuccio in lamiera, sulla parete annerita della vecchia latteria turnaria, un bellissimo affresco degradato: entro una cornice mistilinea la Vergine del Rosario tiene il Bambino in braccio e un mazzolino di fiori nella mano sinistra; tra i santi evanescenti inginocchiati ai suoi piedi, un volto femminile con soggolo bianco e coroncina.
Si può seguire il tetro muraglione con la caratteristica caditoia a cappa di camino sostenuta da beccatelli in pietra; si ammira un portale a sesto acuto con una interessante cordonatura e finestra litica decorata, e dove la strettoia si allarga si giunge verso la piazza. Una caratteristica viuzza, la Strencia, sale fino a largo Curzio dove incontra via Rusca, già Contrada Bella. Sul lato sinistro, di nuovo, l’imponente casa che fu della famiglia Gatti, con lo stemma sul portale d’entrata. Adiacente è casa Giana. Sulla parete muraria propone un affresco, purtroppo deteriorato, con la Vergine e Cristo deposto dalla croce; ai lati figure di santi e angeli, tra cui l’arcangelo Raffaele che guida il fanciullo Tobia. Nella selciata Curt di Stagnin robusti muri anneriti dal tempo e una scala con gradini tondeggianti conservano un caratteristico aspetto medievale.

Al n. 31 Casa Cilichini cui si accede attraverso un andito con volta a botte e unghiature. Sul cortile si affaccia un interessante prospetto con portico a due archi ribassati su pilastro, loggiato su colonnine in pietra e sottotetto con colombaia a disegni geometrici. Nel corpo più antico dello stabile un affresco frammentario ricorda scene cortesi con figure in costumi fastosi. Largo Besta de Gatti è un piccolo slargo delimitato da antiche case, dove un portale di primo Seicento si apre sul cortile di una casa torre ed è sovrastato da un pregevole affresco devozionale.
Al centro raffigura la Vergine in trono con il Bambino che si volge verso san Giovanni Battista fanciullo; ai lati ci sono i santi patroni Andrea e Giacomo.
Si possono indovinare sulle tracce colorate della cornice minuscole figure di santi, tra cui sant’Antonio Abate. Di nuovo in piazza Stefano Quadrio, seguiamo verso ovest Corso Maurizio Quadrio. Via Rinaldi sale verso l’antica contrada del Tamo, il cosiddetto Cantone, con case rustiche, ampi cortili, qualche solitario balcone in legno.
All’imbocco di vicolo Rizio si trova casa Balgera, già dimora avita del patriota Maurizio Quadrio. Conserva uno scalone con balaustra in pietra scolpita e una sala decorata da candidi stucchi che impreziosiscono il medaglione affrescato sulla volta. Interessante il camino settecentesco in marmo nero con il blasone araldico e il motto Humilitas Alta Petit. Alla base del muro che sostiene il giardino si trova un pietrone giallo verdastro con incisioni orizzontali a onde, simboli forse di acque fluttuanti. Lungo la via un affresco devozionale datato 1729 raffigura san Pasquale Baylon, patrono di cuochi e pasticceri.
Pare che durante un’imprecisata festa corporativa, nel corso del XVII secolo, questi prepararono per la ricorrenza una crema con tuorli d’uovo, zucchero, vino bianco secco e la chiamarono con il nome del loro protettore (sabayon).
Oltre al santo inginocchiato con lo sguardo volto all’ostensorio raggiante, vediamo raffigurati due religiosi francescani e san Luigi Gonzaga.
Alla fine del vicolo, su casa strollata di bianco con portalino litico sovrastato da un tondo balcone, spicca la scritta inneggiante alla libertà riacquistata dopo secoli di dominazione grigione.

Sulla facciata di casa Cenini un affresco di ricco impianto compositivo: il Bambino è graziosamente in braccio a Maria al centro della scena; ai lati solenni figure di santi e l’angelo con Tobiolo.
Dall’altro lato della strada, incassato in una nicchia contornata da motivi ornamentali, l’affresco presenta la Vergine con il Bambino e san Giovanni Battista fanciullo. Fu eseguito da Luigi Bonacina nel 1928 su un precedente dipinto che raffigurava la Madonna della Pace. In direzione Sud, dopo il complesso della Casa di Riposo Madonna della Neve, scende la via sant’Antonio.
Su un edificio rustico un altro dipinto di Luigi Bonacina datato 1929: Maria Immacolata tra le nubi popolate di angioletti, san Pietro con la cupola della basilica romana sullo sfondo e sant’Antonio da Padova che sta per ricevere il Bambino tra le braccia. Si giunge alla chiesa di Sant’Antonio; l’originaria chiesetta quattrocentesca fu rinnovata nel corso del XVII secolo e successivamente ampliata nell’Ottocento. Dall’intonaco scrostato affiorano sulle pareti interne frammenti di antichi affreschi; tra le figure di bellissimi santi il giovane vescovo mitrato san Gottardo. Alla fine del Corso Maurizio Quadrio inizia via IV Novembre, un lungo rettilineo affiancato da vivaci case con giardini e orti che porta alla chiesa dedicata alla Madonna della Neve e a san Carlo Borromeo. La facciata a capanna è ornata da tre grandi statue: la Vergine, san Carlo e sant’Andrea. Un pronao affrescato introduce all’elegante portale in marmi policromi chiuso da una artistica cancellata settecentesca in ferro battuto. All’interno pregevoli altari e tesori d’arte.
Sulla parete destra, tra il presbiterio e la cappella di san Francesco D’Assisi, domina la grande tela che traduce con vivacità scenica la leggendaria caduta della neve avvenuta nel mese di agosto a Roma sul colle Esquilino. Il pittore Giuseppe Prina, che realizzò l’opera nel 1716, profuse fastosità coloristica nell’interpretazione del racconto e nella presentazione dei personaggi. Dal Pontesel un’ampia strada conduce alla frazione di Castionetto, dove interessanti nuclei di case rurali ravvicinate costituivano le vecchie contrade. Sui muri delle abitazioni antichi affreschi popolari testimoniano la devozione alla Vergine e ai santi patroni. In bellissima posizione panoramica la chiesa parrocchiale e l’edificio attiguo, già sedi di congregazioni religiose. Il luogo sacro, dedicato a san Bartolomeo, ha una facciata a capanna scandita da lesene interrotte da un cornicione, un portale barocco con timpano spezzato e medaglione in stucco. Al centro un rosone a raggiera in marmo bianco, chiuso internamente da una vetrata policroma con legatura in piombo, opera del vetraio e mosaicista Bartolomeo Balgera, che ha saputo interpretare con valente maestria il linguaggio liberty. Svetta il campanile a cuspide piramidale con monofore e bifore. Nell’interno a semplice navata unica voltata, due eleganti acquasantiere in pietra verde e una tela seicentesca raffigurante il martirio del santo titolare. L’ampio caseggiato adiacente si presenta con una chiara facciata, dove finestre e stipiti sono bene rimarcati e i doccioni in ferro battuto agli angoli del tetto hanno l’aspetto di fantasiosi draghi.

Si accede all’edificio, un tempo canonica, attraverso un portale con arco in pietra. Al n. 16 di via Menatti è degno di attenzione il vetusto complesso di casa Maffina. Un avancorpo sulla facciata sostiene una terrazza con due rampe di scale in pietra; si aprono alte finestre, sporgono mensole in legno, sbiadisce una meridiana.
Frammenti scolorati di un affresco entro una cornice mistilinea lasciano indovinare anime purganti e un giovanile volto di santo.
Poco oltre l’ultima contrada del paese, solitaria su un dosso in località Ronzivalle, si erge la poderosa torre con le sue mura squadrate. Grosse pietre lavorate agli angoli e interessanti aperture sul fronte a Sud; incorporato nel muro a fianco dell’entrata un piccolo vano interno con feritoia di avvistamento; sulla sinistra stretti gradini nello spessore murario. Grigi massi, testimoni di fascinose vicende secolari da quando il duca di Milano Filippo Maria Visconti concesse a Stefano milite, oltre al privilegio di camminare per il suo Stato con otto uomini armati al seguito, anche quello di costruire una fortezza per sua propria difesa in Castione.