L’itinerario per la visita del paese ha inizio dall’imponente complesso chiesastico, situato in posizione elevata come un balcone di fronte alle Orobie. La chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta, menzionata già nel XIII secolo, subì nel corso dei secoli ricostruzioni e rifacimenti. Un seicentesco portale marmoreo e un porticato a quattro arcate ci conducono al portone d’ingresso con ricca decorazione a intaglio, sormontato da un affresco raffigurante la Vergine Assunta.

Sul fronte spoglio risalta il rosone ovale. L’interno della chiesa a navata unica con cupola centrale e sei cappelle laterali è impreziosito dagli arredi: la monumentale cassa dell’organo nella controfacciata e i pregevoli stalli corali realizzati da Giovanni Schmidt di Lipsia nel 1648, riccamente decorati a festoni di frutti, motivi floreali, foglie d’acanto e colonnine con capitello corinzio.
Contiguo alla chiesa è l’edificio della canonica, cui si accede attraverso un bel portale con chiave di volta a pinnacolo; in alto ci offre un tenue affresco settecentesco raffigurante la Sacra Famiglia.

Nel vano delle scale, dopo l’androne, corrono gli stemmi gentilizi e le epigrafi degli arcipreti che si succedettero a Berbenno; parzialmente riemerso un frammento antico con la zampa di un leone disarmato, elemento araldico che ricorda il casato dell’arciprete Guidotto de Castelliono alla guida della pieve dal 1452.

Sul lato sud del cortile interno si scolora un orologio solare ad ore italiche, la cui datazione presumibile rimanda alla seconda metà del XVII secolo.
Via Della Chiesa sale verso il centro dell’abitato e ci conduce in Piazza, dove ha sede l’edificio comunale.
Sulla destra si affaccia la cinquecentesca casa Negri. Dietro, il portale in beola a tutto sesto nasconde un cortile interno con porticato su pilastri e loggia superiore tamponata. Sul retro dell’edificio si estende una vasta zona già prato, frutteto e vigna; per molti anni sul finire dell’Ottocento fu vista arrivare e sostare su questo terreno, durante le sue peregrinazioni notturne, una strana luminescenza “quasi come di luce magnesiaca con tinta però di un piacevole e leggero azzurrino”.
A volte scompariva, a volte rifaceva il cammino percorso risalendo verso la località Dusone. Curiosi e studiosi di ogni dove volsero la loro attenzione al paese e a questo strano fenomeno.

Dalla piazza, imboccando Via Roma, si trova un cortiletto interno dove persistono tracce di una vecchia osteria ombreggiata da un pergolato;
sul fronte un semplice e lineare quadrante solare in affresco con gnomone alla parete e linee grafiche in secondo piano. Più avanti, una piccola nicchia muraria racchiude un affresco devozionale che presenta Cristo in croce, Maria ammantata d’azzurro con il petto trafitto da una spada e san Giovanni Evangelista; due angeli raccolgono nei calici il sangue che sgorga dalle mani di Cristo, secondo una tipica iconografia medievale.

Attraversato il ponte sul torrente Finale, ci fronteggia casa Ponsibio, già palazzo Odescalchi, addossata alla torre medievale dei Capitanei. Una larga decorazione pittorica fascia la parte sottotetto, disegnando uccelli in volo tra nuvole e cerchi colorati.

Sul fronte sud-est portalini finemente scolpiti; sul fronte ovest interessanti spunti architettonici e decorativi: un portale in granito con decorazione a rombi sui piedritti e lo stemma della famiglia Sebregondi con l’aquila ad ali spiegate, il leone illeopardito, la campagna carica di tre bande.

La breve via Innocenzo XI, che ricorda Benedetto Odescalchi papa dal 1676 al 1689, si collega con via Crotti; lungo il percorso una pittura muraria datata 1896 descrive la Sacra Famiglia: la Madonna, san Giuseppe, Cristo fanciullo e lo Spirito Santo che sotto forma di colomba irradia la luce sul figlio; in alto Dio Padre con il triangolo, simbolo della perfezione. I santi sono estremamente reali nella resa del volto e degli abiti.

Poco avanti si apre un cortile con loggiato ad archi su pilastri. Spicca sulla facciata uno stemma composito decorato a fogliami e arricchito da un fregio con una maschera antropopaica volta a proteggere la casa dagli spiriti maligni. Tra gli scudi nobiliari si riconosce quello della famiglia Parravicini; lo stemmario è cimato alle estremità da due candidi cigni e al centro da una figura femminile carica del motto dell’illustre famiglia Guicciardi di Ponte: Succumbat Virtuti Fraus.
Alla fine della contrada vi è l’antica dimora estiva del canonico.
Sopra il portale d’ingresso l’edificio illustra, tra finte architetture e sfondati, la Vergine Assunta in cielo con gli angeli. L’ottima fattura del dipinto, datato 1709, riconduce al pennello di Pietro Bianchi da Como, detto il Bustino. Ritornati in via Roma, vicino al lavatoio e sulla parete a nord di un vecchio prestino, lo screpolato affresco racconta l’apparizione della Vergine al beato Mario degli Omodei di Tirano.
Nel rispetto dell’iconografia tradizionale del fatto compaiono anche gli arcangeli Michele e Gabriele.
In via Roma, inglobata tra le abitazioni che le vivono accanto, la chiesetta dell’Immacolata Concezione di proprietà privata e chiusa ai riti liturgici. Si notano il portalino granitico con spalle e architrave lavorati, e un fronte superiore in sassi a vista. Eretta nel 1724 era oratorio della famiglia Noghera che abitava il palazzo accanto dalla lunga e regolare facciata. Al n. 3 l’ingresso in pietra bocciardata rialzato di pochi gradini, due spalle diritte e due montanti leggermente inclinati su una chiave di volta a cuneo.
Passata Piazza Garibaldi un antico affresco presenta, sullo sfondo del Golgota, Cristo in Pietà a mezzo busto con i simboli della passione e crocifissione; accanto a lui, entro un portale ad arco, san Pietro con le chiavi e il libro aperto.

Sul fronte di casa Moncecchi una cornice mistilinea a finto marmo e pietra racchiude la scena della Trinità che incorona la Vergine Assunta; in primo piano si identificano san Giuseppe con il bastone di mandorlo fiorito e san Pietro con le chiavi; al centro tra i due santi un paesaggio collinare. All’interno dell’abitazione si allarga un vasto cortile con loggiato ligneo e interessanti strutture murarie.

Al n. 61 la facciata dell’abitazione tinteggiata di rosso si apre con un portalino datato 1577, con rosoncini sui piedritti e alle estremità dell’architrave; il disco-patena e le iniziali suggeriscono il nome dell’antico proprietario Battista Parravicini. Nei pressi è casa Sassi de Lavizzari, con un imponente portale. La via san Benigno scende fiancheggiando un edificio con portale bugnato a cuscino realizzato in conci di diverse dimensioni, alcuni emergenti dalla ghiera dell’arco. Interessante portale seicentesco in via Rondanini con i conci geometrici che formano un semiesagono, inquadrati in una struttura quadrangolare.

Si prosegue verso casa Piccioli, in località Palasio: sul fronte nord, sotto quattro piccole aperture rotonde, corre una decorazione a fresco del tardo Cinquecento con motivi a scacchi in tonalità bianco grigio; due finestre al primo piano sono arricchite da elementi romboidali su una gamma cromatica di rosa e di verde.
Nei pressi di questa contrada, in zona panoramica chiamata il Dosso si nascondono pochi ruderi dell’antico castello turrito di Roccascissa; non lontano un masso “avello” popolarmente chiamato “Cuna del bau” suscitava un tempo fantasie e paure.

San Pietro

L’antica chiesa plebana si presenta con una semplice facciata a capanna scandita da lesene. Il portale d’ingresso, datato 1563 e sostenuto da due piedistalli con le figure dei santi Pietro e Paolo, è un trionfo di decorazioni, un mirabile rincorrersi di grottesche, figure, maschere antropomorfe e candelabre. L’interno si rivela in tutta la sua grandiosità per l’eleganza delle linee, delle forme e delle proporzioni.

Regoledo

Punto di partenza per la visita al borgo è la chiesa parrocchiale dedicata a sant’Antonio e santa Maria Maddalena. Edificata nella prima metà del XX secolo, ha l’abside rivolta a ovest. Una ricerca progettuale insolita evidenzia un arco addossato alla facciata, un frontone triangolare, un rosone e superiormente monofore aperte. Percorrendo la via XXV Aprile in direzione est si giunge al nucleo antico del paese, nelle vecchie contrade dove le case si stringono attorno a rustici cortili e conservano interessanti elementi architettonici come archi litici, portoni lignei, lavatoi in pietra. Sui tetti grigi si innalza il bianco campanile a pianta quadrata della primitiva chiesa dedicata a sant’Antonio, ora abbandonata e negletta. Sul fronte logoro e scrostato riemergono tracce pittoriche che farebbero pensare alla figurazione di una suggestiva “danza macabra”, accompagnata da segni graffiti di orazioni. Via Croci sale sinuosa attraversando il centro del paese.
Al numero civico 204, sul fronte nord di un edificio adibito a fienile cui si accede attraverso alcuni sconnessi gradini, un interessante affresco devozionale in degrado raffigura la Crocifissione. Entro una nicchia delimitata da una cornice in tonalità giallo e ocra la composizione descrive Cristo sulla croce, san Giovanni Evangelista che gli appoggia familiarmente una mano sul fianco e la Vergine alla sua destra, purtroppo senza volto. Il cartiglio è ormai illeggibile. Al numero 725 della stessa via, sul fronte ovest di una casa disabitata, un dipinto murario entro una cornice a nastro attorcigliato rosso e giallo raffigura la Vergine con il Bambino, a sinistra san Pietro con le chiavi e un santo vescovo. I due santi a destra sono difficilmente riconoscibili: uno tiene un libro chiuso in mano, l’altro il pastorale e le spalle coperte da un piviale dorato.

Pedemonte

La vecchia canonica di Pedemonte si trovava nell’attuale via Gatti, dove un edificio ristrutturato conserva sulla scala d’accesso un prezioso affresco quattrocentesco: circondata da una larga fascia a vivaci tinte cromatiche, la scena descrive la Vergine in trono avvolta in un manto dorato decorato di fiori e profilato di perle; l’abito rosso scende morbido a terra in panneggi ondosi, nascondendole i piedi.
Il Bambino è ritto sul ginocchio destro. San Rocco, negli abiti del pellegrino con bordone, mantello e bisaccia, indica sulla gamba denudata la rossa piaga della peste. Sulla casa attigua appaiono bizzarri segni geometrici e cruciformi a sanguigna.

Anche in via Del Pino, se pure poco visibile dalla strada perché sul fronte di una casa con cortile e cinta da giardino, si può ammirare un’altra pregevole opera pittorica. Un’inquadratura architettonica sorretta da lesene fa da fondale ai personaggi in primo piano a mezza figura come fossero al balcone: la Vergine, con aureola e corona in capo, ha una sciarpa bianca striata di rosso sopra il manto profilato di perle; il suo sguardo attento e grave è volto al Bambino che sta allattando e che si aggrappa con la piccola mano destra al suo vestito; è frutto di un raffinatissimo chiaroscuro l’incarnato leggermente acceso delle sue gote. Sant’Antonio abate è solenne, con il volto allungato e incorniciato da una lunga barba bianca ondulata.
Sulla facciata è stata realizzata, nel 1888, una elegante meridiana.
La chiesa parrocchiale, dedicata a san Bartolomeo apostolo e protettore dei tosatori, fu edificata nella seconda metà del XVIII secolo su una precedente cappella seicentesca. La facciata a capanna è scandita da lesene e arricchita da nicchie, arcate e rosone.

Monastero

Posto su un ampio gradone esposto al sole, spazia su larghe distese di prati e vigneti degradanti verso il fondovalle. Raggruppa le contrade di Civetta, Motta e Oriolo. Salendo da Berbenno si incontra, all’inizio del primo agglomerato di case, un edificio che fu antica sede del priorato di san Benigno.

Qui, il santo, chiamato familiarmente san Bello, tenne la sua residenza e si spense nel 1472.
Sul fronte si snoda una decorazione a coloritura vivace che propone cartigli, scudo, orologi: sul quadrante solare a ore italiche l’augurio “Mea Vobis Umbra Lux” (la mia ombra per voi è luce). Sulla stessa parete un orologio di forma rettangolare ha, agli angoli, quattro angioletti che reggono gli estremi di due cartigli; splende al centro un giallo sole che illumina una cornice circolare e le ore in numeri romani.
Il portale litico a occidente, invece, è sovrastato da un singolare affresco descrivente san Pietro inginocchiato su due lastroni di pietra: secondo una pia e improbabile tradizione, l’apostolo pregava il Signore perché facesse precipitare Simon Mago, librato nel cielo per dimostrare i suoi poteri e convincere i cristiani ad abbracciare l’eresia gnostica.
In via Medici, in prossimità di un incrocio, si può ammirare un’immagine sacra dipinta sulla parete di una modesta abitazione: la Madonna maestosa, seduta su un grande trono di vaga impronta tardo-gotica, è avvolta in una veste granata e in un manto chiaro trapunto di fiori che scende in morbide pieghe dal capo lungo tutta la figura.

Spiccano il roseo incarnato del volto dai tratti delicati e gli occhi scuri dallo sguardo pensoso. Il Bambino riccioluto e biondo alza la mano destra benedicente. Sulle pagine del libro aperto leggiamo un invito e un augurio di pace:

“O tu se passa per questa via sempre saluda la Vergene Maria.
Pax Tecum”

La chiesa parrocchiale di Monastero è dedicata a san Benigno e sorge nei pressi della primitiva chiesetta intitolata a san Bernardo. La facciata semplice ed elegante ha un portale dal timpano spezzato e un’apertura centrale mistilinea sopra la lesena marcapiano; il campanile si innalza leggermente arretrato senza interromperne la simmetria. All’interno, a navata unica e cupola centrale, l’altare maggiore è in preziosi marmi policromi. Pregevole opera di Michele Cogol, realizzata nella seconda metà del XVII secolo, è il ciborio in legno intagliato, scolpito e dorato a forma di tempietto ornato da colonnine tortili e sormontato da cupola su alto tamburo. Una tavola dipinta posta sulla parete nord è copia del trittico cinquecentesco, ora al Museo Civico di Sondrio: raffigura Maria con il Bambino, un santo monaco in saio bianco con un’insegna abbaziale e un altro santo militare e martire. Al di là del pregevole valore artistico, è documento importante della precedente dedicazione del luogo sacro a san Bernardo e un possibile riferimento ad una presenza monastica in loco. L’iscrizione che corre in basso porta la data del 1512 e il nome del pittore Alvise De Donati. La narrazione agiografica vuole che san Benigno dopo un lungo peregrinare sarebbe giunto in Valtellina e avrebbe scelto Monastero come sua residenza.
La via Panoramica ci porta alla chiesa di Santa Margherita, voluta dai capifamiglia di Maroggia alla fine del XVII secolo e inaugurata il 20 luglio 1703, festa della titolare. La facciata semplice a capanna è squadrata da lesene verticali e orizzontali che creano una composizione geometrica. La vicina contrada di Motta ci invita ad esplorare angoli di sapore antico. Sullo stabile annerito di un vecchio forno un mirabile affresco quattrocentesco descrive la Vergine in trono e incoronata che allatta il Bambino; ai suoi lati un venerando sant’Antonio Abate dalla fluente barba candida con il libro delle Scritture in mano e un giovane san Cristoforo con il piccolo Gesù sulla spalla sinistra. Vuole la tradizione che l’anonimo frescante, dopo aver ricevuto cibo e alloggio nella casa, abbia lasciato per ricordo e gratitudine un segno del suo talento.

Polaggia

Il paese ha un singolare impianto urbanistico, quasi nucleo fortificato esposto sulla sponda soliva. La chiesa parrocchiale ha facciata scandita da colonne, conclusa da un frontone triangolare sporgente; al centro l’affresco circolare al posto dell’originario rosone; nelle nicchie le statue di sant’Abbondio e san Gaetano. Testimonianza del precedente edificio è il portalino laterale datato 1607.
La pala d’altare, realizzata da Cesare Ligari nel 1749, descrive la Vergine con Cristo deposto tra i santi Abbondio e Gregorio. Una fontanella in pietra rallegra il sagrato e ci orienta al portico che introduce al vicolo della Marchionna, dove ferveva un tempo un laboratorio di falegname. L’edificio annerito e abbandonato conserva sulla facciata un mirabile affresco datato 1718. Si ravvisa la Vergine Immacolata in veste bianca e abito azzurro con il piede nudo sopra il serpente e la falce di luna; è affiancata da san Giovanni Battista e da un santo pellegrino. Scendendo lungo un viottolo acciottolato si fiancheggia una nobile dimora che offre un bel portale d’ingresso in pietra con motivi incisi sui capitelli e sui piedritti e un grazioso balconcino ringhierato a riccioli. Una scalinata a pianerottolo si collega in fondo con un’edicola settecentesca che ripropone la figura dell’Immacolata in vaporoso manto blu sul vestito candido, i capelli lunghi sciolti lungo le spalle; si nascondono tra le nuvole piccoli angeli con gigli e rose.
Via Vecchia (Via Grande) attraversa il paese aprendosi su numerosi vicoli laterali, su cortili e contrade. Dove incontra via Scalinata richiama l’attenzione la casa già Ranzetti. Nel corpo di fondo del cortile si apre un doppio loggiato ad arco con colonnine in pietra; le due ali laterali sono leggermente svasate per dare maggior respiro alla corte interna; al centro della loggia spicca l’arma parlante della famiglia.
Si imbocca via Vecchia e si ritrovano lungo il percorso affreschi ad intitolazione mariana. Quello all’inizio della contrada Badorini, accanto ad un arco litico, è realizzato secondo l’iconografia che, rifacendosi alla visione di san Giovanni nell’Apocalisse, descrive l’Immacolata “rivestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi”. All’ingresso della strada dei Tambelin l’autore del dipinto non rispettò gli elementi iconografici tradizionali.

Qui la via è delimitata a sud da paracarri in pietra uniti da sbarre in ferro che guardano sul Funtanè (Bui) sottostante: un insieme di fontane e vasche disposte su due piani e collegate lateralmente creano un singolare anfiteatro. Prima di arrivare alla contrada Bertini, l’affresco murale che descrive la Madonna delle Grazie venerata nel Santuario di Primolo testimonia i legami intercorsi tra le due Comunità: lungo le mulattiere degli alpeggi gli abitanti di Polaggia raggiungevano il santuario, sia per devozione a Maria, sia per la cerca delle tegole per i tetti; gli abitanti della Valmalenco si recavano nella zona di Berbenno per la questua del vino. Al numero civico 85, in un cortile interno si scopre un’antica opera pittorica purtroppo in degrado. Si riconosce, entro una cornice a finto marmo in tonalità vivaci, la Vergine sulla falce di luna con il bambino in braccio. Più avanti sulla sinistra un dipinto ci costringe a indovinare la Vergine con il Bambino e Santi entro una nicchia allargata da una finta architettura, tra panneggi di rosso e di blu. Continuando nel cortile “Ciaz di Melusc” le case circondano la vecchia fontana. La via offre scorci su inesplorati luoghi, su stalle e fienili, slarghi e viuzze e su una rete di collegamenti di una casa con l’altra, con gli orti, con la campagna.